Brevi cenni storici di Rende e dei suoi monumenti più importanti.

Ricordiamo che nella sezione chiese troverete foto e dettagli storici di ogni edificio.

 

 

Fonte: Rendecentrostorico.it e    https://www.turiscalabria.it/ 

 

 

 

 

 

Gli antichi Enotrii, provenienti dalla piana di Sant’Eufemia e da Clampetia, fondarono nei pressi del fiume da essi denominato Acheronte, la primitiva Acheruntia e successivamente Pandosia. La zona era però inadatta alla difesa durante le guerre che in quel periodo si susseguivano numerose, per cui alcuni Acheruntini abbandonarono quei luoghi per rifugiarsi in un posto più difendibile, l’odierna frazione di Nogiano. Questo nuovo insediamento, che risale al 520 a.C., fu denominato Aruntia, “le case dei forti”, e successivamente Arintha. Le sorti della città seguirono quelle della vicina Cosentia.

Durante la dominazione Romana, Arintha fu ‘Municipio’, ma quando Spartaco con la sua armata passò per la valle del Crati, molti acheruntini lo seguirono, fino a trovare la morte. Con l’arrivo dei barbari nei pressi di Cosentia, anche gli acheruntini opposero una strenua resistenza, ma nonostante il loro sforzo tutti i territori di Arintha caddero nelle mani dei barbari nel 547. Nei secoli successivi, cosi come per molti comuni calabresi, anche Arintha subì le dominazioni Bizantino e Musulmana, quest’ultima contrastata dai Rendesi che nel 721 presero parte alla lotta per la liberazione del territorio di Napoli. La reazione Saracena fu durissima e le città di Arintha, Bisignano, Montalto e Cosenza subirono le ritorsioni dei Musulmani, ma nel 921 un’importante battaglia fu vinta e si liberò la valle del Crati dall’oppressione Musulmana. I Saraceni ritornarono più numerosi di prima e costrinsero i ribelli a rifugiarsi in Sila; poterono tornare nelle loro terre solo con l’avvento dei Normanni, nel 1059.

Arintha passò sotto il diretto controllo dei Normanni, in particolare di Roberto il Guiscardo, che impose alla Città, il pagamento di tributi e la presenza di un “Signore”, il vescovo-conte di Cosenza. Nel 1091 tutto il circondario del cosentino si ribellò per le tasse troppo elevate. Ruggero Borsa, figlio di Roberto il Guiscardo ed erede designato, subentrato al padre nella gestione del territorio, chiese l’intervento di Ruggero I, suo zio, e di Boemondo, suo fratellastro maggiore, che repressero la ribellione con la forza. Per il suo intervento Boemondo ottenne il controllo della contea di Cosenza e decise di realizzare un Castello sull’attuale solitario colle, tra i torrenti Surdo ed Emoli, da cui si domina buona parte della valle del Crati. Rende ed il suo castello diventano la base di Boemondo, prima che questi partisse per la Crociata nel 1096.

Il terremoto del 1184 provocò gravi danni, danneggiando il castello e alcune chiese, Rende conobbe un periodo di recessione. Dal 1189 si assistette nel regno di Sicilia ad una lotta per la successione a Guglielmo II il buono, ma solo nel 1194 fu posta la parola fine con la discesa nel regno di Sicilia di Enrico VI, marito di Costanza d’Altavilla ed erede designata dallo stesso Guglielmo. Passando in queste terre Enrico VI pretese il pagamento di ingenti tributi che la gente di Rende non avrebbe mai potuto onorare. In difesa di questi intervenne il Beato Gioacchino da Fiore, confessore di Costanza. Infatti egli conosceva bene i rendesi, passò quasi un anno tra le montagne di Rende prima di diventare Abate di Corazzo. Dopo la morte di Enrico VI avvenuta poco dopo, Rende visse un periodo florido, grazie anche alla protezione di Costanza.

Nel periodo svevo, Federico II confermò l’appartenenza delle terre di Rende all’arcivescovo di Cosenza. Quando il Re venne a Cosenza per l’inaugurazione del Duomo nel 1222 i cittadini di Rende erano presenti con il loro gonfalone che raffigurava le tre torri del castello su uno sfondo bianco e rosso, i colori del blasone di Boemondo. Dopo la morte di Federico, si assistette alla disputa sulla sua successione, conclusasi nel 1266 con la battaglia di Benevento che vide la vittoria di Carlo d’Angiò contro Manfredi; nell’atrio del castello è tuttora visibile un’incisione dell’epoca che ricorda la presenza di mille rendesi schierati contro Manfredi. Nel 1437 Rende, come tutta la Calabria, passò sotto il dominio aragonese e fu data in feudo alla Famiglia Adorno di Genova nel 1442. Nel marzo del 1460 il re Ferrante d’Aragona investì della contea di Rende (con Domanico, Mendicino, Carolei e San Fili) il nobile calabrese di origine normanna Luca Sanseverino, il quale di lì a poco diverrà anche principe di Bisignano. Con l’avvento di Carlo V nel 1528, la contea di Rende venne concessa a don Pedro Gonzales d’Alarcon de Mendoza, marchese della Valle Siciliana e governatore di Cosenza.

Nel 1535 don Pedro d’Alarçon guidò i rendesi, imbarcatisi a Napoli con il re Carlo V, nella battaglia di Tunisi contro i Mori. Nel frattempo i Sanseverino non avevano affatto rinunciato al controllo della contea di Rende, perché nel 1543 diedero in moglie a Ferdinando d’Alarcon – figlio di don Pedro – la primogenita di Pietro Antonio Sanseverino principe di Bisignano, Eleonora (Dianora). Una delle clausole matrimoniali prevedeva che Eleonora Sanseverino divenisse la titolare dell’amministrazione della contea di Rende. In seguito la contea fu elevata al rango di marchesato. Il dominio su Rende degli Alarçon de Mendoza durò fino al 1806, anno in cui il governo napoleonico decise l’eversione della feudalità. Nel 1794 anche a Rende presero corpo le idee della Rivoluzione francese. I soprusi, le tasse e le ingiustizie aumentarono l’odio verso il dominio borbonico. Portavoce di questo malumore fu Domenico Vanni che ricevette Gioacchino Murat, Maresciallo dell’Impero con Napoleone, quando questi passò da Cosenza.

Nel 1817 il Castello fu venduto alla famiglia Magdalone, proprietaria anche di numerosi terreni del Marchesato. Durante il risorgimento, anche i rendesi si stancarono di francesi e borbonici e molti di loro diventarono carbonari partecipando ai moti del 1820-21 e del 1831. Nel 1860 l’entusiasmo per lo sbarco dei mille a Marsala contagiò anche i rendesi che diedero vita al “Comitato centrale della calabria” per dare appoggio logistico e militare, nonché rifornimenti, a Garibaldi che con le sue truppe si accampò in località Marchesino. Il 24 agosto del 1860 Rende insorse contro i Borboni e acclamò Vittorio Emanuele II, re d’Italia. Nei primi anni sessanta, grazie allo sviluppo economico che influenzò anche il sud, da paesino prettamente rurale, Rende si trasformò in una nuova realtà e nuovi insediamenti urbani nacquero nella zona valliva. Fu possibile controllare questo sviluppo grazie all’adozione di un piano regolatore nel 1962 che impedì un uso indiscriminato del territorio e nel contempo permise la realizzazione di numerose aree verdi.

 

 

 


Castello Normanno di Rende

 

Il castello di Rende fu costruito nell’attuale sito nel 1095 per ordine di Boemondo d’Altavilla, che lo elesse come propria base prima di partire per la prima crociata nell’agosto del 1096. La realizzazione del maniero a Rende era l’inizio di un progetto più ampio ipotizzato anni prima da Roberto il Guiscardo, padre di Boemondo, che desiderava realizzare una linea difensiva nella valle del Crati con roccaforti a Bisignano, Montalto Uffugo, Rende e Cosenza. La particolare morfologia del colle dove fu eretto il “Gigante di Pietra” garantiva una postazione estremamente facile da difendere: i ripidi pendii, che si stagliano verso l’alto a formare un cuneo, garantirono una tale sicurezza che si ritenne superflua la realizzazione di un fossato e del ponte levatoio. Il castello fu invece fornito di piccole finestre e molte feritoie, dalle quali potevano essere usati archi e balestre; inoltre sotto il cortile esterno fu realizzata un’enorme cisterna per la raccolta dell’acqua piovana che garantiva un sicuro approvvigionamento durante gli assedi. Invalicabili mura di cinta, spesse alla base più di due metri, garantivano la protezione delle case, delle chiese, e delle altre strutture difensive, in particolare il castello con la torre centrale e altre due torri, poste ai lati. Le tre torri rappresentano lo stemma del comune, probabilmente la loro prima comparsa come gonfalone comunale avvenne nel 1222 per l’inaugurazione del duomo di Cosenza alla presenza di Federico. Tuttora nell’atrio del castello è possibile ammirare due stemmi araldici appartenenti a due delle famiglie succedutesi nella proprietà del castello: i Magdalone e gli Alarçon de Mendoza. Il castello, di proprietà del comune dal 1922, è oggi sede del Municipio. Di fronte, in alto, è visibile lo stemma comunale, con sotto l’iscrizione: Urbs celebris, quondam sedes regalis, Arintha – Celebre città, antica sede reale, Arintha.

Il castello di Rende , in provincia di Cosenza e da tale città non lontano , sarebbe stato edificato secondo una tradizione non confermata dalle fonti o suffragata da specifici documenti sul luogo ove era presente una struttura d’epoca romana o addirittura l’arx di un abitato di un popolo italiota . Il maniero sembrerebbe essere invece il frutto di un intervento promosso da Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo e realizzato dal figlio Boemondo nell’ultimo decennio dell’XI secolo (1095 ?) in conseguenza di una ribellione (1091) delle genti del territorio cosentino repressa nel sangue da Boemondo . Il castello , citano le fonti , eretto nel punto più alto e quindi difendibile dell’abitato del tempo , invero assai modesto , sarebbe stato privo di un fossato difensivo ma con l’accesso al suo interno reso possibile dall’uso di un ponte levatoio . Con buona probabilità il castello fu costruito invece su una motta in parte naturale ed in parte artificiale , come spesso accadeva per tale tipo di strutture quando erette dai Normanni .

Questa specificità potrebbe infatti fornire giustificazione alla presenza del terrapieno , palesemente artificiale , prossimo alla settecentesca chiesa del Rosario . La struttura stessa dell’apprestamento difensivo con quattro torri angolari di forma quadrata ed il mastio centrale , alto e possente , destinato ad abitazione del signore residente o del suo rappresentante avrebbe costituito in effetti la migliore sua difesa dalle incursioni degli assalitori o nemici in uno con la sua posizione morfologicamente assai favorevole in ragione delle forti acclività su tutti i lati . Un castello dunque che veniva eretto come elemento di una continua e munita linea difensiva del territorio della valle del Crati , da poco tempo conquistato e assoggettato dai Normanni ( a far data dal 1045 in poi ) . D’altronde solo successivamente alla vittoriosa battaglia di Civitate nel 1052 ed alla formale investitura del 1059 di Roberto d’Altavilla da parte di papa Nicolò II del ducato delle Puglie e Calabria Rende insieme a molti altri centri della zona fu 2 definitivamente assoggettata alla loro autorità . La torre centrale era anche l’estremo baluardo difensivo (estremo ridotto) ed in tale funzione aveva di regola una sola porta d’accesso abbertescata ed era connessa con locali sotterranei da cui probabilmente poteva accedersi ad una via di fuga , in caso di necessità , per il signore .

Nei locali sotterranei , oltre ai magazzini e alle cucine ed ad altri servizi per la servitù ed alloggi per la guarnigione dei soldati , avevano sede le prigioni il cui uso è stato documentato quantomeno fino al XIX secolo . Il castello , come altri eretti nella stessa epoca , aveva murature particolarmente robuste e di cospicuo spessore e poche e piccole erano le finestre propriamente dette . Numerose erano invece le feritoie per l’uso delle armi da tiro , le mura perimetrali erano coronate da merli e nel camminamento di ronda sporgente erano presenti i piombatoi o caditoie per la caduta dei gravi o di liquidi caldi o infiammabili . Certamente la struttura era ideata e realizzata per riuscire a contenere nel modo più efficace gli assalti dei nemici e quindi molte delle caratteristiche dimensionali e costruttive del maniero derivavano da tale necessità . All’interno dell’edificio poi trovavano posto per certo alcune macchine per la difesa quali i mangana e gli ingenia con cui si scagliavano sassi ed altri proiettili contro gli avversari così come baliste e balestre servivano al lancio di dardi e frecce contribuendo alla difesa della postazione . Queste macchine da difesa erano posizionate non solo all’interno del castello sulle coperture piane dello stesso ma anche e soprattutto sui terrapieni e sulle piazzole murate che contribuivano , quasi si trattasse di un campo trincerato , vuoi con la loro stessa presenza vuoi con le milizie colà dislocate ( arcieri e balestrieri per lo più ) alla difesa esterna del castello .

L’infeudamento del territorio rendese fu concesso alla famiglia Sanseverino che già nel 1050 aveva ottenuto dal Guiscardo il titolo di principi di Bisignano ; in seguito il feudo passò a Giovanni Ferraris , amalfitano , giunto in Calabria al seguito dei Normanni . Immediatamente dopo il castello fu concesso al vescovo-conte di Cosenza che già era infeudato della contea di San Lucido comprendente i territori di San Felice (S, Fili) , di Rende e di Mendicino ; l’infeudamento era confermato nel 1093 da parte del duca Ruggero all’arcivescovo Arnolfo . Ancora il 12 giugno 1219 Federico II confermava all’arcivescovo di Cosenza il feudo rendese comprendente il castello , in 3 parte da riedificare . Ebbene nel 1220 però il maniero risultava appartenere con le terre di Aiello a Riccardo Salernitano , fratello di Niccolò arcivescovo di Salerno , dal ché ne scaturirono liti sul possesso . Singolare appare poi il fatto che nello stemma cittadino le torri del maniero siano solo tre così come risulta dalla presenza di tale stemma sul gonfalone comunale esibito allorquando i signori di Rende scesero a Cosenza il 30 gennaio 1222 a rendere omaggio all’imperatore Federico II di Svevia venuto in città per presiedere all’inaugurazione del duomo .

Singolare in quanto la rappresentazione simbolica e sintetica del castello ci porta a conoscenza della circostanza del presunto crollo del mastio e di una delle torri angolari come probabile conseguenza , non di un evento bellico , ma piuttosto di un terremoto quale potrebbe essere stato appunto quello disastroso del 1184 . In tale caso il signore non avrà ritenuto , alla luce peraltro di mutate esigenze difensive e politiche , di ricostruire la grande torre centrale crollata ma solo di ripristinare la funzionalità del recinto difensivo erigendo nuovamente la mancante quarta torre . Le liti relative al possesso del feudo rendese ebbero modo di proseguire nel periodo successivo come quando Federico II tolse il castello dalla giurisdizione dell’arcivescovo di Cosenza mentre nel 1247 papa Innocenzo IV ne reclamava il possesso in ragione delle donazioni a suo tempo ricevute .

Cosicché nel 1254 ancora papa Innocenzo IV confermava all’arcivescovo Bartolomeo Pignatelli terram Rende salvo poi il 7 ottobre 1254 confermare a Pietro Ruffo la donazione del feudo di Rende fattagli da Federico II e dal figlio di questi Corrado . Le alterne vicende militari del Ruffo conclusesi con la sua totale disfatta determinarono dunque papa Innocenzo IV a rimettere terram quoque Rendae sotto la potestà del vescovo Bartolomeo Pignatelli con la conferma operata nel 1255 da papa Alessandro IV . Con la bolla Justis petentium desideriis dell’8 giugno 1268 papa Clemente IV confermava la giurisdizione sul feudo e castello di Rende al vescovo-conte di Cosenza , al tempo Tommaso Agni da Lentini . Il re di Sicilia Carlo I d’Angiò ( 1266-1285 ) confermava la possessione . Le vicende proprietarie relative alle terre rendesi si fecero ancora più complicate con innumerevoli passaggi di proprietà e possesso in pochi decenni in conseguenza dei rivolgimenti politici e militari che contrapposero gli Angioni agli Aragonesi .

Il re di Sicilia Roberto d’Angiò ( 1309 – 1343) nel 1332 propose 4 all’arcivescovo cosentino uno scambio tra le terre di San Lucido e di Rende con altre che ebbe luogo dato che il feudo rendese era peraltro nella materiale disponibilità della famiglia Squilla , già conti di Luzzi e baroni di S. Fili e Tarsia , rimanendoci almeno sino al 1340 . Nel 1353 e poi con formale conferma nel 1357 il castello veniva restituito al vescovo di Cosenza dalla regina del regno di Sicilia e di Napoli Giovanna I ( 1343 – 1381 ) , figlia di Carlo duca di Calabria e dunque nipote di Roberto d’Angiò . Negli ultimi anni del XIV secolo ancora a seguito di tumultuosi eventi e dell’occupazione arbitraria operata dal conte di Montalto Carlo II Ruffo il re angioino Ladislao di Napoli ( 1386 – 1414 ) , su esplicito invito del papa Bonifacio IX ( 1389 – 1404 ) ordinò che il castello ed il territorio rendese rimanessero provvisoriamente sotto il dominio della Regia Curia , con amministrazione di Nicola Ultramarinis , in attesa della restituzione al legittimo ecclesiastico proprietario .

Convulsi eventi riguardarono ancora per alcuni decenni il destino di questa parte della Calabria , la valle del Crati , con la contrapposizione tra le dinastie angioine e aragonesi ed i loro partigiani .Ad esempio nel 1422 il castello fu preso ed occupato dalle truppe angioine di Francesco Sforza , futuro Duca di Milano , che , narra la tradizione , avrebbe così avuta la falsa notizia della morte del padre avvenuta in battagli contro Alfonso d’Aragona . La storia ebbe una prima conclusione con la sostituzione negli anni ’40 del secolo XV del dominio aragonese a quello angioino ad opera di Antonio Centelles inviato dal re aragonese di Napoli Alfonso il Magnanimo ( 1442 – 1458 ) in Calabria a tale scopo. In questa occasione il castello fu affidato al lombardo capitano di ventura Giovanni della Noce che nella rivolta promossa dai feudatari contro il re parteggiò apertamente per il Centelles , che aveva mutato partito aspirando alla costituzione di un suo stato autonomo , fino al momento in cui Alfonso non affidò al suo fidato consigliere Barnaba Adorno il castello dopo la pacifica resa del lombardo . Documenti d’archivio confermano come nel 1451 la famiglia Adorno, presumibilmente infeudata nel 1445 , fosse ancora titolare della contea di Rende . Alla morte di Alfonso d’Aragona ( 1458 ) salì sul trono il figlio naturale Ferdinando I , re di Napoli dal 1458 al 1494 , che avviò nuovamente la lotta contro i feudatari calabresi di cui avvertiva e pativa la sostanziale inimicizia .

Tra i molti fatti anche d’armi del tempo il re rivolse la 5 propria attenzione al Centelles , grande feudatario , che era ritenuto il principale istigatore dei sentimenti antiaragonesi sì da farlo recludere nel 1459 e confinando di fatto nel castello rendese 1 la moglie , la marchesa Enrichetta figlia di Nicola Ruffo e di Margherita di Poitiers . Il re Ferdinando I a tal punto visto che non riusciva ad avere ragione dei dissidenti feudatari decise di venire a patti con gli stessi siglando una pace proprio nel castello di Rende dove per un qualche tempo ebbe modo di dimorare . In breve la rivolta tornò a divampare finché Ferdinando I sempre nell’anno 1460 dopo la presa e distruzione di Castiglione costrinse alla resa le popolazioni . La dissidenza contro gli Aragonesi fu completamente e definitivamente eliminata in occasione dell’eccidio dei baroni nel Castello Nuovo di Napoli da cui scamparono i signori di Rende che si erano mostrati fedeli alleati della causa aragonese . Con la morte il 23 gennaio 1494 del re Ferdinando I ebbe pressoché termine il dominio degli Aragonesi nel meridione e quindi in Calabria .

Nel 1490 , come ricordato dall’incisione sul concio centrale dell’arco di ingresso , la famiglia Adorno a conclusione di un lungo periodo caratterizzato da episodi bellici che avevano determinato guasti e manomissioni delle strutture del castello procedettero al suo restauro ed adattamento alle mutate esigenze , difensive sì ma anche e soprattutto residenziali . Nel 1494 i signori di Rende erano ancora i conti Agostino e Giovanni Adorno come testimoniato da un documento con cui la comunità rendese chiedeva di essere sollevata da una parte almeno dei balzelli e tasse di origine feudale da cui erano gravati . Dopo gli Adorno di Genova per un breve periodo il feudo , agli inizi del ‘500 , fu nella disponibilità della famiglia Sanseverino nella persona di Alfonso , duca di Somma , zio di Ferdinando principe di Bisignano . La disobbedienza del Sanseverino alle indicazioni/disposizioni del re di Napoli Carlo d’Austria e del viceré Pietro di Toledo comportarono la perdita di numerosi feudi tra i quali appunto quello di Fiumefreddo che fu venduto alla famiglia Alarcon 2 .

Gli Adorno , esponenti peraltro di una feudalità borghese più che militare , erano ancora nel 1526 nella persona di Antonello proprietari della contea e , alla sua morte , in quella della moglie Anna Pica sino al 1530 . Nel 1531 la Francia e la Spagna a mezzo dei loro partigiani si confrontavano sul campo per il possesso della Calabria sicché si arrivò ad un confronto armato che vide prevalere il de Alarcon al comando delle truppe filospagnole . Il breve possesso della contea di Rende da parte di Alfonso Sanseverino fu legato alla durata della contesa sì che il de Alarcon , come promessogli da Carlo V , avendo conseguito la vittoria prese possesso della parte del feudo che era ritornato nella disponibilità reale come stabilito dal provvedimento sottoscritto da Carlo V il 30 giugno 1532 .

Nel 1532 Isabella , la figlia di Antonello Adorno ed Anna Pica , sposava Ferrante Gonzales de Mendoza , figlio di don Pedro 3 , portando in dote il feudo di Rende o almeno la parte a lei spettante in quanto pervenutale per eredità dopo la morte della madre . Il de Alarcon fu ampiamente ricompensato per i suoi servizi e la contea di Rende fu elevata a marchesato .Lo stemma dei Mendoza è presente , comprensivo di quello della famiglia d’Alarcon , all’entrata del castello a destra apposto su una pietra . Con il matrimonio dunque di don Pietro Gonzales de Mendoza , figlio dell’omonimo viceré delle Calabrie , con Isabella Adorno si ricostituiva il pieno dominio sulla totalità delle terre pertinenti al marchesato di Rende e la proprietà diventava per il privilegio del maggiorasco della famiglia Alarcon y Mendoza 4 . Don Fernando de Mendoza , o per meglio dire Alarcon y de Mendoza 5 , sposò in seconde nozze Eleonora Sanseverino . Nel mese di gennaio 1552 moriva nel castello il governatore di Calabria Rodrigo di Mendoza colà rifugiatosi in ragione di una rivolta del popolo cosentino .

Dal matrimonio nacque don Ferdinando che insieme alla madre il 17 gennaio 1560 affittava , per atto del notaio Fabrizio Pagano di Napoli e dopo aver ricevuto il regio consenso , tutto lo stato di Rende ad Agostino e Antonio Belmosto 6 . Questa dell’affitto del feudo era un metodo per approvvigionarsi da parte del proprietario di denaro fresco con cui potere vivere con il dovuto agio nella capitale del regno . Gli affittuari d’altra parte potevano procedere a far fruttare le terre nel modo migliore anche imponendo ulteriori tassazioni ai residenti . Non v’è dubbio peraltro che a far data dalla seconda metà del XVI secolo il castello , persa la sua connotazione di baluardo difensivo , aveva progressivamente acquisito i requisiti di residenza , quindi con locali più ampi e maggiori comodità . In tal senso sempre più spesso il titolare risiedeva altrove , in città perlopiù , delegando ad altri la cura e la custodia della struttura castellare .

Anche il castello di Rende era perciò affidato ad un castellano che vi aveva stabile dimora con la sua famiglia e per cui , a fronte di tutta una serie di incarichi ed incombenze 7 , riceveva uno stipendio8 . Nel 1569 un terremoto di particolare intensità colpì l’area e lo stesso castello fu interessato dall’evento non potendosene però descrivere i danni patiti e , conseguentemente , le opere eseguite per il suo rafforzamento e restauro . Nel 1623 il quinto marchese di Rende Francesco Alarcon y de Mendoza da’ inizio alla costruzione del castello di San Lorenzo del Vallo .

Ancora il 27 marzo 1638 alle ore 22 si verificò un fortissimo terremoto che determinò localmente gravi danni sia alle persone con 31 morti che alle abitazioni con 139 case crollate e molte altre danneggiate . Questi dati sono desunti da una relazione redatta da Lutio d’Orsi di Belcastro per essere sottoposta all’attenzione del viceré del Regno9 nella quale comunque non si fa particolare cenno ai danni che pur si debbono essere verificati al castello 10. Le scosse successive , quelle cosiddette di assestamento , certo contribuirono a determinare ulteriori crolli e disagi . Con ogni probabilità ad una periodo successivo al sisma vanno pertanto ricondotti non pochi dei lavori di adattamento e di rafforzamento operati nel castello . Il lavoro venne compiuto da maestri muratori rendesi con impiego di materiale lapideo integrativo proveniente dalle cave di Mendicino (CS) e tra le opere più significative vanno annoverati la costruzione di una scalinata esterna e la radicale trasformazione degli interni 11. Il 15 aprile 1638 , deceduto il titolare marchese Francesco , il feudo fu ereditato dal figlio Rodrigo . Continuava intanto da parte della famiglia marchionale Alarcon y de Mendoza l’acquisto di feudi ( 1623; 1666 et alia ) sì da divenire una delle più importanti e cospicue famiglie dell’intera regione .

Nel frattempo molto veniva modificandosi il quadro sociale , anche cittadino , con l’avvento di nuove famiglie quali i Zagarese che integravano la vecchia aristocrazia di un tempo ( famiglie Vercillo , Perugini, Magdalone , ecc.) che ancora deteneva comunque la maggior parte delle risorse con particolare riferimento ai beni immobiliari . Negli anni 1647/1648 a Rende si assistette ad una sollevazione popolare guidata da Andrea Marotta che comportò tra le altre cose la fuga del marchese Diego Alarcon y de Mendoza e l’occupazione del castello da parte dei rivoltosi . In tale occasione , narrano le cronache , il castello era stato munito e intorno alla cittadella i ribelli avevano predisposto trincee e ripari per impedire l’entrata degli assalitori dell’esercito reale . Va rammentato inoltre come all’interno del castello , in ossequio all’esercizio della giustizia , fossero presenti le carceri ( citazioni :1666 ; 1720 ; 1844 ; ecc. ) come d’altronde era sempre stato sin dalla sua costruzione e , così come recitano i documenti ancora nel 1591 , la marchesal corte conservando il feudatario nell’intero stato di Rende i diritti di giurisdizione delle prime e delle seconde cause . Con il Trattato di Utrecht ( 1713 ) prima e con un patto tra diversi regnanti , stipulato nel 1734 , si cercò di dare un assetto duraturo al cosiddetto Regno delle due Sicilie di cui fu investito Carlo III di Borbone .

Dopo circa dieci anni di regno Carlo III abdicò nell’assumere la corona di Spagna a favore del figlio Ferdinando minore d’età . Il feudo rendese passò in quel tempo nell’orbita della famiglia dei Ruffo conti di Montalto avendo don Girolamo sposato la marchesa Donna Lucrezia Alarcon y de Mendoza (+ 1760 ) . Dal matrimonio nacque Ferdinando Paolo che sposò Donna Giuseppa Antonia Caracciolo generando Emanuela . Con la morte di Ferdinando Paolo ebbe termine il 2 febbraio 1735 l’istituzione feudale lasciando egli tutti i poteri feudali alla moglie . Emanuela andata sposa a don Giuseppe di Castiglia che aggiunse il cognome de Alarcon y de Mendoza al proprio , pur consapevole dell’esistenza della legge reale del 1742 che aveva tolto ai feudatari molti dei diritti e dei privilegi , continuò ad esercitare , così come la figlia Beatrice , le proprie prerogative . Ancora in un atto redatto in data 6 novembre 1787 dal notaio Giovanni Monaco alla presenza dell’erario di Rende Vitale Perugini viene descritto il castello che appare essere destinato alle funzioni di residenza marchionale con trascurabili comodità 12 ovvero usato solo come residenza sussidiaria o di campagna .

Qualche elemento relativo alla consistenza del compendio immobiliare è possibile desumere dalla descrizione come quando si fa riferimento all’esistenza di una Torretta nuova con ogni probabilità realizzata allo scopo di creare un belvedere sul paesaggio o alla Cappella , quest’ultimo elemento caratteristico e proprio di una residenza nobiliare . Per la legge napoleonica di eversione della feudalità del 2 agosto 1806 infine la marchesa donna Beatrice ( viva nel 1810) ,figlia di Emanuela e di Giuseppe di Castiglia , dovette lasciare gli immensi beni feudali nelle mani delle Università dei vari paesi dove avevano sede ivi compresa quella di Rende mentre la figlia Angelica provvedeva poi a liquidare i beni burgensatici vendendoli a privati cittadini come ad esempio i Zagarese ed i Magdalone 13. Salvatore Magdalone (1778 -1851) , figlio di Giovanni e di Eleonora Morrone , comprò quasi tutta la proprietà terriera residua ed il vecchio castello (1817) dagli eredi della famiglia marchionale Alarcon y de Mendoza . Il Magdalone molto si adoperò per restaurare ed ammodernare l’edificio che aveva inevitabilmente perso con l’andar del tempo la gran parte delle sue peculiarità difensive così che non di rado vi si tenevano ricevimenti e feste come ad esempio quella per il matrimonio della figlia Saveria che il 22 aprile 1841 andava sposa a don Pietro Catanzaro da Montalto Uffugo propriae Domi Castri Rendarum .

Nel 1844 il giorno 15 marzo si riunì nel castello la Commissione giudicatrice di prima istanza presieduta dal giudice regio del circondario di Rende Dionisio Coscarella per giudicare i partecipanti alla rivolta dell’insurrezione popolare sedata dalle truppe borboniche . Gran parte della proprietà ed il castello passarono in eredità da Salvatore al figlio primogenito Marco Magdalone ( + 1854 ) che morì appunto nel crollo delle strutture del castello in seguito al sisma del 12 febbraio 1854 . Un sisma di magnitudine particolare che ebbe epicentro tra Rende e Donnici . Da un libro pubblicato l’anno successivo all’evento abbiamo la conferma dei gravissimi danni patiti dagli edifici pubblici e privati della cittadina non escluso il superbo castello 14 . La proprietà pervenne dunque alla moglie Caterina Morelli (+ 1856 ) e poi , morta tragicamente la Morelli , al figlio Giovanni Antonio ( 1831 – 1899) . Gli eventi politici si verificarono poi con una grande confusione sia nel periodo precedente che successivo alla Unità d’Italia (1860) . A seguire la proprietà passò a Giuseppe , figlio di Luigi Magdalone e quindi fratello di Marco e secondogenito di Salvatore . Viene altresì ricordato da testimoni oculari l’esecuzione negli anni 1922 e seguenti di cospicui lavori che alterarono definitivamente l’aspetto del castello .Nel 1960 all’atto di procedere al recupero dei locali dove avevano luogo le prigioni furono , sotto grandi lastre di tufo , trovati numerosi scheletri che vista la difficoltà del recupero si preferì lasciare in loco .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il monastero di Santa Chiara:

L’attuale struttura, posta in Via Raffaele De Bartolo, nel XVIII secolo era un edificio sacro con annesso Monastero dei Nobili intitolato a Santa Chiara che ospitò e formò culturalmente e spiritualmente diverse religiose della provincia. Venne fondato da Pompeo Madalone qm Federico nobile vivente morto il 17-11-1747 (Nr Domenico Mazza f. 105).

La costruzione degli edifici venne iniziata il 4-10-1729 come si evince dall’atto del Nr. Francesco Perri, mentre la fondazione del Monastero dei Nobili e Chiesa di Santa Chiara avvenne l’11-3-1746 (nr. Mazza f. 37-40), fu lo stesso Pompeo Madalone che istituì e dotò il monastero del patrimonio necessario, i lavori di completamento terminarono nel 1747.La sua nipote D. Anna M., figlia de R. D. Onofrio fu tra le prime professe del monastero. La casa del suo genero, R. D. Onofrio Pastore, posta nel luogo detto il Seggio, era un cenacolo di studi e di religiosità, nel quale si formarono spiritualmente i successivi storici Giuseppe Pastore e Giuseppe Vercillo, entrambi congiunti del R. D. Onofrio.

Nel Catasto Generale Onciario della Terra di Rende del 1743 nella particella al f. 525 risulta la seguente composizione familiare: Pompeo Madalone qu. Federico nobile vivente di anni 80 con la sua serva Tersa Lupo di Marano di anni 32, abita in casa del R. D. Onofrio Pastore suo genero nel luogo detto il Seggio senza pagarne cosa alcuna. Possiede terre in Arcavacata, S, Ianni, castagne a Gaudioso e Visciglino, e la casa alla Giudeca; esige inoltre numerosi censi. E’ tassato per once 726.20, su cu gravano un legato di messe, un censo alla Camera Marchesale, altro alla Commenda di S. Giovanni Gerosolimitano. La figlia, che fu moglie del sacerdote secolare D. Onofrio Pastore, aveva nome Eliadora (o Dianora) Madalone; la qual morì il 20-11-1729 di anni 36 in luogo detto il Seggio “in domu propria”e fu seppellita nella Parrocchiale. Dopo i vari sismi (1783-1824-1832-1835-1836-1854-1870-1887e1905) e rimaneggiamenti l’antico monastero venne riutilizzato a più scopi (carcere, pretura, civile abitazione), rimangono solo la parte ora adibita a privata abitazione mentre il luogo di culto, probabilmente perché troppo danneggiato, fu utilizzato in diversi modi tra cui ultimo quello di Cinema, il prestigioso Cinema Santa Chiara, tra i primissimi di tutta la Calabria e tra i primi d’Italia. La struttura monastica è posta lungo la via Raffaele De Bartolo (l’antica toponomastica identifica l’attuale via con il toponimo già Santa Chiara), posizionata su quelle che erano le antiche mura cinquecentesche fatte erigere da Hernando de Alarcon che circondano Rende e che vengono intervallate da “Porte”, ormai non più visibili ma che l’antica toponomastica ricorda. Il maestoso edificio posto su più piani presenta nella facciata principale i “barbacane” a testimonianza dell’imponenza della struttura e l’originale portale settecentesco a tutto sesto con chiave a protiride. Una scala tufacea porta ai piani superiori che affacciano su quello che doveva essere il piccolo chiostro dal quale si possono ancora notare le finestre delle celle di clausura, alcune ancora integre. ( Francesco Salerno)

 

 

 

 

 

 

 


Santuario Maria SS. di Costantinopoli

Rende, come molte città calabresi, è ricca di luoghi sacri dal grande fascino artistico e spirituale. Il Santuario Maria Santissima di Costantinopoli è stato edificato intorno al 1600, ma l’attuale configurazione risale al 1719. L’esterno ha una facciata a capanna, nella parte superiore è presente un finestrone a vetri colorati raffigurante la Vergine di Costantinopoli con il Bambino. Sul lato destro è la sagrestia, sormontata dal campanile. L’interno è a croce latina, ed è ricco di decorazioni che fanno da corona ad un altare in marmi policromi. All’altezza del transetto si può ammirare la cupola con la Madonna di Costantinopoli in Gloria, affrescata a tempera da Achille Capizzano. All’interno si trova una cappella dedicata a Maria Santissima di Costantinopoli, con la statua della Vergine e un’icona dipinta ad olio su rame, comunemente detta Macchietta. Il 15 maggio 1978, su decreto dell’Arcivescovo di Cosenza Mons. Enea Selis, la chiesa è stata elevata agli onori di Santuario. Di notevole pregio, sono i dipinti su tela e su tavola presenti nella Chiesa: nella cantoria troviamo ad opera di Cristoforo Santanna l’Allegoria della Madonna di Costantinopoli databile 1777. Il Santuario è provvisto di uno spazio musealizzato dove sono esposti paramenti sacri, utilizzati nei secoli passati per officiare la Santa Messa. Nel museo sono esposti inoltre diversi argenti di notevole pregio come Pissidi, Calici, Croci, Ostensori databili intorno al XVII/XVIII secolo. Adiacente al Villaggio Europa sorge la chiesa dedicata a San Carlo Borromeo. Le grandi dimensioni della struttura rendono visibile, anche da molto lontano, la particolare cupola semisferica, che raggiunge i 30 metri d’altezza. La struttura geometrica si concretizza in un effetto visivo di grande suggestione. L’ingresso aperto sulla facciata è provvisto di un portale superiore. All’interno sono poste 21 colonne e nell’aula possono trovare spazio oltre 500 persone con ampia libertà di movimento. Di notevole fattura le immagini del percorso di Gesù.

 

 

 

 

 

 

 


Convento di San Francesco d’Assisi

La chiesa di San Francesco d’Assisi e Santa Maria delle Grazie, con annesso convento, risale al 1500. Restaurata più volte, mantiene un aspetto barocco. La facciata esterna presenta una scalinata a semicerchio che consente di giungere nell’atrio del convento dove sono ancora presenti alcuni affreschi, anche se molto sbiaditi. All’interno della chiesa sono invece conservate opere di Cristoforo Santanna, Francesco De Mura ed altri pregevoli quadri di autore ignoto, nonché sculture in legno ed altre in marmo di notevole fattura.

 

 

 

 

 

 

Chiesa Madre

La chiesa matrice di Santa Maria Maggiore si trova alla fine del corso che la collega direttamente al Castello e fu costruita nel XII secolo. La chiesa è a croce latina con tre navate e sopra il portale principale vi è un rosone della stessa epoca. I terremoti e l’usura del tempo hanno costretto i restauratori a coprire le vecchie colonne con pilastri rettangolari che però non ne intaccano la bellezza. All’entrata sono visibili, scolpiti nella pietra, due fregi: un libro aperto, a destra; due chiavi incrociate, a sinistra. All’interno è possibile trovare inoltre molte opere d’arte, tra cui quadri di Cristoforo Santanna, Giuseppe Pascaletti e Giuseppe Grana, sculture in legno e marmo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Chiesa di San Michele Arcangelo

La Chiesa del Ritiro è dedicata a San Michele Arcangelo e risale al periodo normanno. Restaurata più volte, della facciata originale rimane il portale con le due colonne ai lati. La pianta è a croce greca e su ciascun lato vi sono delle cappelle in stile barocco. Sotto i quattro archi che formano la cupola sono state poste quattro statue che raffigurano la Prudenza, la Fortezza, la Giustizia, la Temperanza. Numerosi quadri, alcuni dei quali di Pascaletti e di Santanna, abbelliscono la chiesa. Inoltre all’interno sono conservate sculture in legno e marmo, tra cui la statua lignea di San Giacomo, qui portata dalla chiesa dell’Assunta quando questa fu distrutta da un terremoto.

 

 

 

 

 

 

 

 
Museo civico di Rende

Nel centro storico di Rende, nell’antico Palazzo Zagarese, è allestito il Museo Civico cittadino, realizzato con la consulenza di R. Lombardi Satriani.

Il palazzo conserva ancora la sua struttura originale, con gli ambienti residenziali separati da quelli che erano destinati alla servitù, benché dopo il terremoto del 1854 abbia subito alcune modifiche, con l’aggiunta di un doppio loggiato con arcate (nella parte inferiore), un colonnato con capitelli dorici neoclassici (nella parte superiore) e un terrazzo. Il Museo è ospitato dal 1980 nell’ala destra e si sviluppa su nove sale, su un piano rialzato, con ingresso a scalinata e un primo piano. 

I locali stessi sono degni di nota, trattandosi di un importante edificio della storia rendese. Oggi il Museo Civico di Rende è suddiviso in due sezioni, quella Folcloristica e quella Pittorica. L’area dedicata alla cultura popolare contiene circa tremila reperti distribuiti in nove sottosezioni tematiche allestite in altrettante sale: in esse sono ricostruiti i luoghi-simbolo della vita di un tempo, dalle stanze da letto ai laboratori tessili, dalle botteghe artigiane alle case dei pastori. Molti anche i documenti fotografici e testuali del mondo contadino oltre alla collezione di costumi tradizionali: una particolare attenzione è prestata alla cultura degli albanesi e dei grecanici di Calabria. La sezione dedicata all’arte moderna e contemporanea, intitolata al pittore rendese Achille Capizzano, raccoglie dipinti di vari artisti di grande nome. Una prima sottosezione è dedicata ad autori nativi dell’Italia Meridionale tra il Quattrocento e l’Ottocento, dove trovano posto artisti come Mattia Preti, Pascaletti e Santanna.

La seconda sottosezione ospita invece tele di pittori italiani contemporanei, da Carrà a De Chirico, da Sironi a Renato Guttuso. La costituzione di un Museo permanente dell´Otto e del Novecento, con particolare riguardo all´area calabrese e meridionale, è la naturale conseguenza degli interessi e dell´attività del Centro “A. Capizzano” che dopo sei anni di attività di mostre si avvia a dotarsi di raccolte stabili sui periodi e gli artisti degli ultimi duecento anni. La creazione di un archivio documentario (altre alle opere d´arte, con cataloghi, manifesti di mostre, foto, video, ecc) sui tanti autori e sugli avvenimenti che hanno segnato la storia dell´arte dal periodo romantico a quello attuale, colma una lacuna nelle istituzioni culturali che si occupano poco dell´arte moderna e contemporanea. Il Museo, sostenuto dalla Regione Calabria e dal Comune di Rende, è convenzionato con la Provincia di Cosenza e gode del patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico e Etnoantropologico della Calabria. 

 Le due sezioni che lo compongono sono quella Antropologica, che include una collezione di costumi arbëreshë provenienti da diverse aree rappresentative della regione, e la Pinacoteca, il cui nucleo più antico risale al 1695, intitolate rispettivamente a Raffaele Lombardi Satriani e Achille Capizzano, artista locale di fama internazionale. Tra le opere di maggior prestigio il Museo espone la “Madonna della Purità” del fiammingo Dirk Hendricksz, importanti capolavori di Mattia Preti, quali “Il Soldato” e la “Sepoltura di Sant’Andrea”, tele del Solimena rappresentative del Seicento napoletano e diverse opere provenienti dalle chiese, come la “Sacra Famiglia” del Pascaletti. Conclude il Museo un’ampia Sala Conferenze che affaccia su uno splendido terrazzo panoramico.

 

 

 

 

 

 

La nascita dell’Università della Calabria su questo territorio rappresentò un ulteriore punto di forza e di sviluppo del territorio. Dapprima composto da una struttura polifunzionale concentrica, con l’ultimazione del progetto Gregotti, si realizzò un lungo pontile con ai lati strutture di cemento armato (detti anche “Cubi”) che si allacciano alla struttura cambiando in altezza a seconda dei mutamenti della superficie, in questi edifici si trovano i dipartimenti dell’Università.

Oggi uno dei principali centri culturali di Rende e dell’intera area urbana cosentina è rappresentato dall’Università della Calabria, la maggiore delle università calabresi e una delle migliori tra le università italiane di medie dimensioni, che vanta attualmente il più grande campus universitario in Italia, adiacente alla struttura universitaria. Essa conta circa 40.000 studenti, provenienti prevalentemente dalla Calabria e da altre regioni meridionali e in percentuale minore anche dall’estero. L’università ha 6 facoltà: Economia, Farmacia, Ingegneria, Lettere e Filosofia, Scienze Matematiche Fisiche e Naturali e Scienze Politiche. Negli anni ottanta e novanta, le amministrazioni comunali cambiarono il volto della zona a valle con la realizzazione di piazze, parchi, musei e chiese, trasformandola di fatto in una città moderna. La nuova variante adottata dal comune nel 2003, nacque con la necessità di orientare lo sviluppo complessivo della città verso obiettivi di qualità, ristabilendo un equilibrio ecologico fra le aree edificate all’interno della città: furono realizzati il ring con la nuova cattedrale di San Carlo Borromeo, il Museo del Presente con il Belvedere delle arti e delle scienze, le scale mobili per raggiungere il Centro storico, il nuovo istituto tecnico commerciale, il complesso parrocchiale di Linze. Furono inoltre recuperati i più importanti corsi d’acqua con la creazione di parchi fluviali al centro della città e restaurate quasi tutte le chiese di rilevanza storica, riqualificando interi quartieri come Roges “vecchia” e Quattromiglia.

La nuova variante adottata dal comune nel 2003, nacque con la necessità di orientare lo sviluppo complessivo della città verso obiettivi di qualità, ristabilendo un equilibrio ecologico fra le aree edificate all’interno della città: furono realizzati il ring con la nuova cattedrale di San Carlo Borromeo, il Museo del Presente con il Belvedere delle arti e delle scienze, le scale mobili per raggiungere il Centro storico, il nuovo istituto tecnico commerciale, il complesso parrocchiale di Linze. Furono inoltre recuperati i più importanti corsi d’acqua con la creazione di parchi fluviali al centro della città e restaurate quasi tutte le chiese di rilevanza storica, riqualificando interi quartieri come Roges “vecchia” e Quattromiglia.

Rende è un centro dell’area urbana cosentina nel cui territorio comunale è ubicata l’Unical, il più grande campus universitario italiano e una delle migliori università d’Italia tra i grandi atenei. Nel 2016 ha ottenuto infatti il terzo posto nella classifica stilata dal Censis e si è collocata nella 212 posizione nella classifica internazionale elaborata dall’Università di Leiden.